Se è vero che l’attesa di un piacere è essa stessa un piacere, è vero pure che l’attesa di un dolore è essa stessa un dolore. Sarebbe dunque meglio non attendere affatto? Ma quando non si attende più nulla, quando si guarda al futuro senza più alcuna speranza, allora si è come morti! Che fare dunque? Questo scritto di don Gabriele ci proietta nel clima dell’attesa, ma con una domanda sottesa alla quale si può rispondere solo personalmente: io che cosa aspetto?
Signore,
è tutto così grande, così misterioso. Ci chiedi di vegliare pregando per avere la forza della libertà di venirti incontro. Signore, mi sento i piedi legati, le mani impegnate, la mente stiracchiata, il cuore appesantito, la volontà strattonata. Vorrei, intuisco, ma un susseguirsi di emozioni, di tentazioni, di bagliori, di sentimenti, di intuizioni, mi sconvolgono, mi impediscono, non solo di decidere, di scegliere, ma anche di vedere, di comprendere. Cosa pensi di fare? Lasciarmi? Abbandonarmi?
Attesa
L’esperienza dell’attesa è una delle esperienze più belle e più grandi della vita. Attendere è riconoscere che qualcuno ti sta venendo incontro, sta arrivando, che qualcuno sta vivendo per te. L’attesa di un bambino, di un dono, di un incontro, della conclusione. L’attesa della crescita, della notte, del giorno, della guarigione, del Signore. In questo tempo di Avvento ci è offerta la possibilità di riprendere in mano questa dimensione della vita. Attendere chiede pazienza, di più chiede desiderio, umiltà, capacità di credere, di fidarsi. Si attende quello che un po’ conosciamo e che vorremmo diventasse più nostro. L’attesa non è la passività di chi non si dà da fare, ma la conseguenza della fede in quello che sta per accadere, o che qualcuno sta per fare. Aspetto che il seme germogli, che il lievito faccia crescere la pasta, che il fuoco cucini il cibo, che il bambino cresca, che la persona arrivi, che qualcuno faccia quello che gli ho chiesto. Aspettare le cose che stanno o che devono accadere, arrivare, è già possederle. Noi aspettiamo quello che abbiamo già dentro. Il contenuto dell’attesa rende l’attesa stessa più o meno grande, più o meno bella, più o meno gioiosa o triste. Se attendo la vita, la mia attesa sarà grande, se attendo un incontro con una persona cara, la mia attesa sarà caratterizzata dalla gioia. Se ho l’appuntamento con qualche cosa di doloroso, la mia attesa non sarà solo nella sofferenza, ma anche nella paura. Attendere è spesso la condizione che ci permette di scoprirci attesi.
don Gabriele
Colle S. Lucia, Santa Fosca Pescul e Selva di Cadore, 2018