Diocesi di Belluno – Feltre

Si isti et istae cur non ego?

Centocinquantatre centimetri di statura, ma tanta, tanta superbia. Questo era Ignazio di Loyola, ultimogenito di una nobile famiglia basca. Era un giovane capriccioso, selvaggio, desideroso di gloria e di potere, vanitoso, prepotente, passionale, donnaiolo, giocatore, facile all’ira, tanto è vero che prese la spada per niente durante qualche rissa nell’osteria. Un soggetto che è meglio non incontrare. Che lui sia diventato santo è dunque un dato interessante: vuol dire che c’è speranza per tutti.

Ho trovato questo brano in un forum in internet; si parla di S. Ignazio di Loyola, fondatore della compagnia di Gesù, cioè dei gesuiti. Si tratta di parole che mi hanno fatto ritornare alla mente una celebre frase di S. Agostino, quella del titolo: “Si isti et istae, cur non ego?”, che tradotto significa: “Se questi e queste (si riferiva ai sante e alle sante del suo tempo) perché non lo posso essere anch’io?
Ma ci sono tanti altri esempi di “poco di buono” o di “farina da non far ostie”, ad esempio S. Paolo che si definì “bestemmiatore e persecutore dei cristiani”. Oppure lo stesso S. Francesco d’Assisi, S. Maria Maddalena ecc.. Tutto questo vuol dire che la santità è possibile a tutti. Non tanto la santità dei miracoli, delle estasi, delle grandi opere, ma la santità di S. Giuseppe che non fece niente di straordinario se non il suo dovere di sposo e di padre; ma vi sono altri milioni e milioni di uomini e donne, veri santi, quelli che papa Francesco chiama i “santi della porta accanto”, i santi feriali, comunque veri santi.
E allora “se questi e queste, perché non anch’io?”.