Ci risiamo. Probabilmente tutti l’abbiamo pensato seguendo la nuova risalita dei dati su contagi, ricoveri e decessi. Quante volte è già successo? Due? Tre? E quante altre succederà? E se non è bastato tutto quello che abbiamo messo in campo, cosa servirà, ancora?
Sembra essersi steso sul Paese una specie di costernato scoramento: eccoci di nuovo in ‘arancione’ (più o meno scuro) o in ‘rosso’. Il pendolo del virus sta logorando i nervi degli italiani, che, malgrado l’impegno collettivo di tutti (fatte salve le solite eccezioni irriflessive e irresponsabili), ce l’hanno messa tutta per sconfiggere un ‘nemico’ che da microscopico quale sembrava sta diventando un mostro che incombe sul nostro domani. Ne usciremo mai? (Francesco Ognibene).
È passato un anno, e pare l’illusione un po’ patetica di un secolo fa. Certo, attendiamo sempre la svolta. I vaccini, i nuovi farmaci, altre misure di contenimento, tutto servirà, e verrà il giorno in cui la bestia sarà domata. Ma cosa ci occorre, adesso, per vedere presto quel mattino?
- Reagire richiede anzitutto la fede: sapere che siamo limitati ci porta a chiedere che il tempo della prova sia più breve, attendendone la fine come un dono e non come l’esito delle sole nostre opere.
- Ci è poi indispensabile la speranza, sapendo che certamente sorgerà l’alba.
- Indispensabile è anche la carità, il prodigarsi per chi si scorge nel bisogno.
Può bastare? Il Vangelo è una porta aperta sugli altri. Abbiamo una Quaresima per provarci. Forse là fuori c’è una società sfinita che, oltre ai vaccini, attende chi crede sul serio e se la carica in spalla nella carità, con speranza certa e fede sicura.