Diocesi di Belluno – Feltre

Il sentimento come collante di una “memoria condivisa”

Oggi ospitiamo la stimolante risposta di Bruno Bratti al testo iniziale di Michele Giacomel. Secondo Bratti, la chiave per poter operare il passaggio fra la memoria viva dei primi testimoni e quella ereditata dei secondi ha bisogno di un “collante” speciale, che però non sta in un concetto o in un ragionamento, e tanto meno in un richiamo di tipo morale, bensì in un sentimento, il quale però ha bisogno di essere risvegliato, così come ha saputo fare Maria Giacoma Corona.

Grazie per questa condivisione. Come avete scritto, si vede che sono pensieri “coltivati” e “maturati” con tempo e cura, e li sento quindi come un dono prezioso, sia per l’amicizia che ci lega, sia perché mi sento comunque parte della comunità longaronese, anche se in questa fase della vita non riesco ad esprimere questa appartenenza come vorrei.

Se capisco, dici che è opportuno affiancare alla narrazione “di prima generazione” del Vajont, fondata sull’esperienza e sulla memoria dirette, una narrazione “di seconda generazione”, fondata su qualcos’altro, trasformando la memoria personale del Vajont in memoria storica.

Volendo mettere in luce questo “qualcos’altro”, io credo non possa trattarsi d’altro che di un sentimento. Ti chiedi: “Se [la seconda generazione] non ha categorie per poter raccontare il Vajont, come può sentirlo suo?”, ma io credo che il sentimento preceda le categorie, i discorsi, l’impegno e sia a fondamento di qualsiasi rapporto umano, che sia con una persona, con un luogo, con un evento. Penso che la strada di una chiarificazione emotiva sul senso della memoria possa essere promettente (se non ricordo male, tua sorella Marta aveva lavorato in questo senso nella sua tesi di laurea). Anche Maria Giacoma usa un vocabolario emotivo, che mi piace molto, scrivendo che “quel modo nuovo e diverso di raccontare, creando empatia e non fastidio in chi ascolta, lo dobbiamo trovare.”

Provo a dare un contributo. Nella Seconda considerazione inattuale sull’utilità e il danno della storia per la vita F. Nietzsche considera che l’utilità della storia all’uomo che vive può fondarsi su tre sentimenti: l’aspirazione a qualcosa di alto, il sentimento di custodia del passato e la liberazione da quanto ci tarpa o, al limite, ci ferisce. Personalmente forse ne aggiungerei un quarto, cioè il senso d’appartenenza (belonging) ad un gruppo sociale, il sentimento di condividere un orizzonte comune, per cui tu parli giustamente di “memoria condivisa”. A me pare che la memoria del Vajont possa rispondere a ognuno di questi quattro sentimenti, e forse ad altri ancora.

Pensando all’immagine del giardino, aggiungo che forse sostituirei la divisione tra “prima e seconda generazione” con qualcosa di diverso, ad esempio: “Che senso può avere la memoria del Vajont a 10, a 20, a 30, a 40, a 50, a 60, a 70, ad 80, a 90 anni?” Come in un bosco ci possono essere alberi di varia generazione, così può essere anche nel “giardino della memoria”.

Mi sembra infine importante riconoscere che non si parte da zero. Grazie all’impegno di tante persone, il Vajont è oggi indiscutibilmente parte del patrimonio storico: è nei libri di storia, nelle pubblicazioni, nell’opinione pubblica, nell’identità di tante persone. Esistono associazioni, enti, tradizioni, reti. Mi sembra importante riconoscere questo lavoro, grazie al quale il giardino “c’è già”.

Questi i miei pensieri. Un saluto a te e a tutti,

Bruno