Proponiamo un testo splendido di don Gabriele che ha bisogno solo di una piccola premessa, perché lui ripete più volte: “Signore, lasciami andare!”; ma è importante sapere che si tratta di un espediente letterario, perché in realtà è proprio il Signore che lo sta chiamando. Che senso ha tutto ciò? Ebbene, la preghiera di don Gabriele è una supplica affinché il Signore gli dia il coraggio di lasciare quello che ha, gli dia la forza di rompere le sue resistenze interiori, perché sente che, proprio Lui, con una forza irresistibile, lo sta chiamando altrove.
Lasciami andare!
Signore, non sono più capace di star fermo, ti prego: lasciami andare! Non so dove, ma tu lascia che io parta. Voglio partire per una libertà che spesso mi manca, o mi è negata, per rendermi disponibile a lidi non conosciuti.
Il mio campo mi è piccolo, Signore, e se resto fermo l’orizzonte non mi parla più di infinito, diventa la mia prigione, il mio limite.
Ho bisogno di partire, Signore, per impedire alle cose di uccidermi, alle mie certezze di soffocarmi.
La tua fedeltà non la posso incontrare che nella precarietà di un cammino dove la meta resta lo sconosciuto.
È l’unica grande possibilità che ho di lasciarmi da te trovare nel momento in cui ti cercherò, perché niente mi tratterrà dal venire.
Lasciami andare perché io possa venire! Desidero perdere tutto perché l’Infinito mi appartiene e io voglio appartenere all’Infinito.
Desidero camminare fino all’esaurimento delle mie forze perché nel tutto consumato, la purificazione mi renderà trasparente, e non saprò più distinguere se la luce mi illuminerà o se sarò io la luce. Ma lei, la Luce, non sarà impedita.
Non voglio più prendere ma essere preso, non voglio più dare ma essere dato, non voglio più parlare ma ascoltare, non voglio più fare, ma essere dimenticato ad una presenza e ad una attenzione che non conosco e che mi attira, mi attrae, mi acceca. Signore, il tuo povero servo, la tua povera creatura, non desidera altro che essere, essere tuo.
Ma quel “tuo”, Signore, chiede la spoliazione totale, quella nudità che solo il viaggio evidenzia coprendola di giustificazione.
Vorrei partire, Signore, desidero andare, non so dove, non ti chiedo di dirmelo ma solo di attendermi alla meta dopo aver seguito con il tuo sguardo il mio cammino, il cammino di un uomo che ha deciso di essere solo, perché tutto diventasse attesa e accoglienza di Te.
Vorrei perdermi, Signore, per vivere la vita che non mi appartiene, la vita che ti appartiene.
O tu continuerai a tenermi tra le braccia? Non lo so, ma ne sono certo e se lo vuoi partirò con la gioia nel cuore. Forse io non ci sarò ma tu ci sarai e questo darà corpo alla mia presenza sfuocata e perduta.
don Gabriele
Dalle parrocchie di Cencenighe e S. Tomaso, 1997